“Rendete perfetta la mia gioia, avendo uno stesso modo di pensare, uno stesso amore, un solo accordo e una sola mente non facendo nulla per rivalità o vanagloria, ma con umiltà, ciascuno di voi stimando gli altri più di se stesso. Non cerchi ciascuno unicamente il proprio interesse, ma anche quello degli altri.” (Filippesi 2.2-4)
L’apostolo Paolo nelle sue lettere dà una continua lezione di carattere. In questo passaggio in particolare, scrive alla chiesa di Filippi dando indicazioni chiare su come gestire la relazione con l’altro: con umiltà, onorando il prossimo, non lasciandosi andare a inutili rivalità ed invidie, non focalizzandosi solo sul micro – della serie io e il mio ministero - ma pensando al macro, al bene comune.
Io questo l’ho visto raramente. Molto raramente. Oggi in una riunione si ricordava anche la triste frase che “i grandi non si mischiano con chi credono sia al di sotto di loro”. Una realtà molto triste. Questa frase si sposa bene con quei personaggi che avendo raggiunto un certo livello di fama si guardano bene, nel caso del mondo cristiano, dell’andare a pregare in una piccola chiesa con pochi membri.
Ma nuovamente Dio mi sorprende e oggi ho visto compiersi davanti a me questa esortazione di Paolo ai filippesi.
Per una serie di “Dio-ncidenze” ci troviamo a viaggiare nella città di Rosario. Un viaggio che non era stato pianificato al principio ma sollecitato su invito del presidente del consiglio dei pastori della città di Rosario, il pastore Jose Luis Urso. Il pastore Urso è un argentino di origini italiane, precisamente siciliane, a cui Dio ha messo nel cuore un amore incredibile per l’Italia e un desiderio enorme di fare qualcosa lì.
Ci è venuto a prendere la sera del nostro arrivo e siamo andati a cena fuori, poi questa mattina ci ha invitato alla colazione dei pastori della città (che avviene tutti i martedì da oltre 30 anni) e infine abbiamo pranzato insieme. Il tempo è stato veramente di qualità e quest’uomo ha catturato totalmente il mio cuore, sicuramente per questo amore che ha per l’Italia, ma soprattutto per la sua straordinaria personalità.
Un uomo di una semplicità, umiltà, sapienza, intelligenza, capacità di visione impressionante. Un uomo davvero con un cuore di pastore che non ti stancheresti mai di ascoltare.
Un uomo che sa cosa è l’onore e sa riconoscere il ministero altrui, e non solo lo riconosce ma lo aiuta a crescere.
La colazione dei pastori a cui abbiamo partecipato, non riguarda una specifica chiesa, ma l’unione di ogni tipo di denominazione (c’erano battisti, metodisti, pentecostali, etc.) che periodicamente mettono da parte le divergenze teologiche per un fine comune: portare Cristo alla città di Rosario. “Ci sono molte denominazioni” diceva uno dei presbiteri “ma una sola Chiesa e un solo Pastore”. Si mette da parte tutto per uno scopo più grande e questa unità fa la differenza. Un’unità che non è nata automaticamente e né con facilità, ma è il frutto di un pastore che ha fatto davvero la differenza in questa città, il pastore Norberto Carlini, che ha mantenuto la visione dell’unità raggiunta con non poche difficoltà e che alla fine non solo ci è riuscito ma è riuscita a mantenerla salda anche con la sua dipartita.
Io personalmente ho sempre avuto una grande attenzione per ciò che riguarda la reputazione. Reputazione, non nel senso di preoccuparsi di quello che gli altri possano o meno dire di me, perché chi si preoccupa del pensiero altrui agirà non per coscienza o mosso da Dio ma perché cerca il consenso esterno.
La reputazione riguarda invece il fatto di essere reputato, ossia la stima e la considerazione in cui si è tenuti da altri.
Perché parlo di reputazione? Perché questo consiglio pastorale ha scelto come presidente il pr. Urso non con una votazione ma in modo unanime a motivo della reputazione, o, parlando biblicamente, a motivo della buona testimonianza. E questo parla molto alto del tipo di persona che è.
Il termine "umiltà" è derivato dalla parola latina "humilis", che è tradotta non solo come umile ma anche alternativamente come "basso", o "dalla terra". Poiché il concetto di umiltà indirizza a un'intrinseca stima di sé stessi, è enfatizzata nella branca della pratica religiosa e dell'etica dove il concetto è spesso definito più precisamente e ampiamente.
La modestia, d'altra parte, è una delle virtù più difficili da realizzare da parte dell'uomo in quanto comporta essenzialmente la rinuncia disinteressata ad ogni vana compiacenza di sé. Essa comporta: intelligenza (in quanto l'individuo deve prendere coscienza di sé e della propria posizione in relazione agli altri e alla società che lo circonda), moderazione ed equilibrio (in quanto deve frenare ogni impulso all'ambizione e all'egocentrismo), umiltà (in quanto deve rendersi conto della sua pochezza o, se si preferisce, della sua costituzionale finitezza). (Dal dizionario psico-socio-pedagogia di Piero Bertolini)
La superbia (super-bios, crescere sopra) è qualcosa di aereo che trascura il forte vincolo dell’umano con la terra da cui deriva. L’umile è qualcuno di molto più autenticamente legato alla propria natura.
Umile non è modesto, umile è chi ha il cuore ancorato alle cose del cielo, e il suo io ben fermo sulla terra.
L’umile non ha paura di onorare, di far crescere l’altro, di credere nell’altro perché vede nell’altro un’aggiunta e non una sottrazione.
Il premio dell'umiltà è il timore dell'Eterno, la ricchezza, la gloria e la vita. (Pr 22.4)
Rigiriamo il versetto senza cambiare il senso: La vita, la gloria, la ricchezza e il timore dell’Eterno sono il premio dell’umiltà.
L’umiltà ci aiuta a raggiungere il timore dell’Eterno che è il principio della sapienza.
Ogni uomo e donna di Dio se vogliono raggiungere la grandezza, la gloria, la vita, devono avere questi due valori presenti e visibili: umiltà e sapienza.
In questo viaggio abbiamo avuto l’onore di conoscere grandi uomini di Dio. Persone che hanno fatto la differenza nel loro quartiere, nella loro città e nella loro nazione e abbiamo notato che tutti hanno come comun denominatore proprio l’umiltà.
Le persone che hanno raggiunto grandi traguardi non hanno mai, mai pensato all’autoaffermazione, a raggiungere livelli importanti per distaccarsi da tutti, ma hanno cercato il bene più grande, il bene comune. Così come scrive Paolo ai Corinti:
Or a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l'utilità comune. (1Co 12.7)
È quello che Giovanni Battista riassume dicendo: è necessario che Lui cresca ed io diminuisca. (Gv 3.30)
Se poi Dio ti vuole innalzare questo spetta a Lui, ma non è questo che si deve cercare.
Mosè era l’uomo più umile (o mansueto, la parola è la stessa) di tutta la terra. In che versetto vedete Mosè che fa quello che fa per auto promuoversi? Non c’è, non esiste, anzi, voleva perfino evitare la chiamata. Il suo scopo era portare il popolo di Dio fuori la terra d’Egitto, e per questa missione ha dato sé stesso fino alla fine.
Quindi la domanda che sorge e che mi invita alla riflessione è questa: Cosa è più grande la missione che Dio ci ha dato, o il fatto che la missione è stata data a noi e a nessun altro?
In poche parole:
cosa è più importante l’obiettivo o la mano che raggiungerà l’obiettivo?
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